L’idilliaco sbalordimento offerto dall’incantevolezza dei luoghi della Lucania può lasciar traccia non solo negli occhi, ma, com’è talvolta avvenuto, anche tra le pagine della letteratura.
Fra i latori eccellenti di tale testimonianza non passa inosservato il personaggio della Principessa Aurora Sanseverino di Saponara.
I Sanseverino a Saponara
Sul finire del XVII sec., Saponara (l’odierna Grumento Nova) conservava ancora i fasti dell’antica città romana di Grumentum. Il borgo dominava la Val d’Agri e ne rappresentava uno dei centri più popolosi e il principale polo culturale.
Caratterizzato da un’economia ancora feudale, esso era fortificato da mura e raccolto attorno al Castello dei Sanseverino, una delle più illustri casate storiche d’Italia.
La giovinezza e i matrimoni
Aurora nacque il 28 aprile 1669 da Carlo Maria Sanseverino principe di Bisignano e conte di Saponara, e da Maria Fardella principessa di Pacecco.
Sin da bambina mostrò grande intelligenza e una spiccata predisposizione per le arti, dedicandosi presto allo studio di discipline quali il latino, la filosofia, la musica, la pittura, e soprattutto la poesia.
Sposò, a soli 11 anni e su pressione del padre, il conte Girolamo Acquaviva di Conversano, di cui restò presto vedova. Ciò la indusse a contrarre seconde nozze con Niccolò Gaetani dell’Aquila d’Aragona, a cui diede due figli.
L’evento fu celebrato con una fastosa cerimonia nel castello di Saponara, in occasione della quale fu inscenato un dramma pastorale intitolato Eliodoro.
Il mecenatismo
Dopo il matrimonio, si trasferì nella dimora del marito a Napoli, città caratterizzata all’epoca da un intenso fermento culturale. Qui ospitò poeti, musicisti e pittori, dando vita a un vivace cenacolo letterario ove confluirono i migliori artisti e poeti della città, e che assurse in breve a maggior centro culturale del Regno di Napoli.
Fu una attivissima mecenate e commissionò la musica delle sue commedie (in alcune delle quali recitò ella stessa) ai maggiori musicisti dell’epoca, tra cui Hendel e Cimarosa.
Aurora e l’Arcadia
Nel 1695 Aurora entrò nell’accademia dell’Arcadia, assumendo il nome di Lucinda Coritesia.
Il suo modo di far poesia fu pertanto quello tipico dell’Arcadia, che privilegiava l’uso del sonetto e della canzone, con un ritorno tematico alla semplicità naturale e pastorale: per Aurora i temi erano prevalentemente malinconici e avvolti in una sorta di sospirante sentimentalismo.
L’idillio rurale lucano come mito poetico
Ma la sua opera fu anche profondamente influenzata dal paesaggio rurale dell’entroterra lucano. Questi scenari incantati e irreali, tali da apparire dipinti, costituirono uno spunto fondamentale e uno sfondo pressoché perfetto per la narrazione di una natura idilliaca, di un mondo fiabesco, ricco, attraente benché vago, indefinito, lontano.
Il microcosmo poetico di Aurora non ammetteva riferimenti alla situazione storico-politica contemporanea e sembrava vivere del tutto avulso dal mondo esterno, in una sorta di sognante distacco dalla realtà.
Le pietre, i pascoli, le acque e le luci della valle costituivano così la materia prima con cui la poesia e i sogni stessi di Aurora erano costruiti, ma fu a sua volta lei, nel breve tempo della sua vita, a illuminare il mondo di cui avrebbe poi fatto poesia.