Si racconta che di notte, poco prima di avvistarlo, si potesse udire il rintocco delle campane della vecchia Chiesa, suonate a mo’ di monito, o a compimento e celebrazione di un antico rito ai più sconosciuto.
Soltanto allora, preparati benché mai abbastanza, si poteva incontrare lui, u Munaciedd.
Il “Monacello” nella fantasia popolare
Si tratta in effetti di una leggenda popolare ben radicata in tutto il Sud Italia, nelle varianti del “Munaciell” napoletano o del “Monachicchio” lucano descritto fra gli altri da Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato a Eboli”.
Tuttavia in alcuni centri, e in particolare a Marsicovetere, si tramanda una versione della storia decisamente più tetra, e per certi suoi aspetti più “reale”.
Sebbene infatti nella maggior parte dei casi si parlasse fondamentalmente di uno spiritello bonario, tutt’al più dispettoso e un po’ irriverente, il cui incontro potesse persino portare fortuna (la tradizione in molti paesi lucani vuole che chi riuscisse a togliergli il cappuccio addirittura diventasse ricco), e benché, in diversi contesti, questa potesse assomigliare a una stramba favola della buonanotte, da queste parti invece u Munaciedd era qualcuno, o qualcosa, da cui si raccomandava davvero i bambini di stare alla larga.
U Munaciedd di Marsicovetere
I ricordi, e testimonianze più o meno attendibili, riferiscono infatti di uno spirito demoniaco, un’anima sospesa simile più allo spettro di un film horror che a un folletto burlone.
Un piccolo monaco incappucciato e un po’ gobbo, dal richiamo sibilante, che si diceva essere venuto al mondo e albergare presso l’antico monastero di Santa Maria di Costantinopoli, ai piedi del paese.
Qui aspettava pazientemente chi nottetempo vi s’inoltrasse, tra i rintocchi del campanile e gli ululati dei cani alla luna, appannati dalla lugubre brezza di montagna che fischiava tra i rovi, per rapirli facendoli scomparire e dimenticare per sempre o, nei casi migliori, renderli pazzi o incapaci di ritornare alla vita.
Pare che avesse anche eletto a sua “base cittadina” un cadente fienile posto lungo la gradinata che scendeva a valle partendo dalla piazza del paese, l’antica “via degli zingari” oggi trasformata in una strada carrabile ma ancora nota a molti, guarda caso, come “scesa r’u munaciedd”. Qui si racconta fra l’altro, con convergenza quasi storiografica, che egli avesse tratto in prigionia una vergine, che l’indomani avrebbe dovuto sposarsi, conducendola all’oblio e alla pazzia.
U Munaciedd tra leggenda e realtà
C’è chi dice che il monaco abbia trovato la pace col crollo dell’antico campanile della Chiesa, avvenuto durante il tragico terremoto del 1980.
Il buonsenso dei nostri tempi, e il pullulare di racconti analoghi ma sostanzialmente divergenti più o meno in ogni centro della Basilicata, inducono oggi alla convinzione che si tratti di nient’altro che narrazioni mitiche, votate a un certo tipo di moralizzazione spirituale o, nei casi più oscuri, alla mera esorcizzazione di reali episodi criminali opportunamente dissimulati sotto il manto della fantasia – per scongiurare tra gli uomini la paura antica procurata dal male compiuto dagli uomini stessi.
E c’è però chi ancora oggi, preso dalla strana frenesia di percorrere di notte i ciottoli che costeggiano le rovine dell’antico convento, si dice riesca a riconoscere nel fruscio dei cespugli il sibilo ammaliante del piccolo frate.